L’uomo, l’ambiente, il destino e le personalità

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di Francesco Citino

L’uomo è un animale che si è abituato a considerarsi separato dal suo ambiente. Viviamo convinti della nostra individualità, della sua separazione dagli altri e dallo spazio in cui siamo immersi.

Ma il nostro è un ambiente complesso, solo in parte visibile, in esso dovremmo considerare anche le relazioni con altri individui, i nostri vissuti, le esperienze.

Senza identificarci, dovremmo estendere la nostra idea di “ambiente”, considerarne tutta la sua complessità: in fin dei conti ci strutturiamo anche attraverso le persone che frequentiamo e i vissuti, siano essi più o meno positivi. Costituiamo infatti una unità con in nostro ambiente, e i nostri confini si modellano in ogni istante a seconda delle situazioni che viviamo. Questo concetto di ambiente deve potersi sovrapporsi al concetto di vita.

Ciò che per prima cosa emerge dall’incontro fra l’uomo e l’ambiente sono le personalità: ne costruiamo innumerevoli a seconda di ciò che ci capita, l’immagine del vincente, o del perdente, del seduttore, del ribelle, dell’affidabile professionista ecc….

Le personalità si formano ed una volta formate sono l’assetto con cui ci poniamo di fronte al nostro ambiente, istaurando così una circolarità, che finisce per rafforzare la suddetta personalità. Un esempio è l'”effetto Pigmalione”, studiato da Rosenthal e Jacobson, per indagare il fenomeno della “profezia che si autorealizza”, che ha dato vita a degli esperimenti condotti in una scuola elementare, in cui i due ricercatori, somministravano agli studenti un test di intelligenza dopo di cui riferivano ai maestri che alcuni scolari, scelti però a caso, erano più dotati degli altri. Quegli stessi studenti, a fine anno, ottenevano delle votazioni significativamente più alte degli altri. Si istaurava così un circolo vizioso per cui il bambino tendeva a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato.

Ma poi, spesso, la vita “come forza viva” porta inevitabilmente alla decostruzione di queste “maschere”, attraverso vissuti spiacevoli, traumi e fallimenti. Per diverse filosofie è prorpio questa una delle maggiori cause di dolore dell’esistenza, ossia il percepire tramite gli eventi, la discrepanza fra le immagini che ci facciamo di noi (le personalità), e i nostri nuclei interiori più veri.

Quindi se non si cade nella trappola dell’identificazionde con le personalità negative, è possibile aprire uno spiraglio a diversi interessanti punti di vista:

  1. bisogna rinunciare ad identificarsi, rinunciare ai ruoli…..cercare di restare liberi, leggeri e di fluire nell’esperienza dei vissuti
  2. pensare che siamo un tutt’uno con la nostra vita, con il nostro ambiente (nell’accezione di ambiente data prima)….ed in esso fluire, lasciarsi andare [Sri Aurobindo spiegando il concetto di “Grazia” spiega che questa forza risponde al “dono di sé: <<Il dono di sé deve essere totale e abbracciare tutte le parti dell’essere. (…) In qualunque parte dell’essere, anche la più esterna, nulla deve restare a fare delle riserve, nulla che si celi dietro dubbi, confusioni e sotterfugi, nulla che si ribelli o si rifiuti>>“].
  3. oppure disidentificarci anche con la vita stessa, vederla come una proiezione (coerente), di un unico punto, la coscienza.