Privati dell’attenzione: il ritmo dello schermo

multiple tv channels

di Francesco Citino

Tempo fa si dava la colpa alle fantasticherie e ai sogni ad occhi aperti quando i bambini erano distratti. Oggi il progresso della civiltà ci ha affidato a delle protesi che suppliscono il difficoltoso e discontinuo processo di distrazione.

La televisione prima, i videogiochi poi e per finire internet costituiscono gli apparati che hanno deformato il nostro sistema cognitivo negli ultimi 50 anni.
Giovanni Sartori in “Homo Videns” spiega come la televisione ha avuto (e sta avendo) il potere di trasformare l’uomo da un homo sapiens, ovvero la specie che si distingue per la sua capacità linguistico-simbolica, in un “homo videns” un uomo il cui sistema conoscitivo ha come centro l’immagine. Secondo Sartori l’impoverimento mentale dell’uomo moderno è dovuto alla sostituzione dell’immagine al linguaggio.

“La parola è <<simbolo>> tutto risolto in quel che significa, in quel che fa capire. E la parola fa capire soltanto se capita […] altrimenti è lettera morta, un segno o un suono qualsiasi. Per contro l’immagine è pura e semplice rappresentazione visiva. L’immagine si vede e basta*”.

Infine sempre Sartori ribadisce con forza la potenzialità della televisione di modificare l’uomo definendolo appunto uno strumento “antropogenetico”.

La tesi di fondo è molto condivisibile: si sfugge alla lettura e quello che è ancora peggio al sapere trasmesso attraverso il dialogo; ci si è impoveriti della capacità di astrazione e inoltre il linguaggio televisivo ha distorto il nostro modo di pensare facendoci rintanare in ragionamenti fallaci, in pregiudizi ed in errori logici.

Ma l’immagine non è la sola colpevole, o per lo meno gli effetti deleteri della televisione non si fermano all’impoverimento logico e argomentativo, bensì è nei processi attentivi che si registrano i danni più ingenti.

La TV modifica l’attenzione, la impoverisce: il mutare frenetico delle scene, il cambio continuo di contenuti (ad esempio le interruzioni pubblicitarie) e la sovrabbondanza di stimoli percettivi sempre più forti, operano una riduzione delle capacità di attenzione e di concentrazione.
È possibile rintracciare gli effetti di ciò nell’aumento dei casi di “deficit dell’attenzione**” e di “iperattività”: casi di bambini impulsivi, che non riescono a stare fermi, raramente motivati, ma che soprattutto vivono con forte noia e senso di stanchezza ogni atto di concentrazione.

Ma non è solo un problema dello sviluppo. La mancanza di attenzione negli adulti è connessa sopratutto ad internet. Individui la cui attenzione è labile e poco disciplinata vivranno con difficoltà la libera scelta di contenuti lasciata da internet. Le interazioni sui social, l’immagine ormai assorta a salienze percettive oltre il comune, musica, acquisti, intrattenimento di ogni sorta e pornografia sono distrazioni fin troppo allettanti se confrontati (dal punto di vista istintuale, vitale) ad esempio con l’approfondimento di temi riguardanti la cultura, la conoscenza di sé e la riflessione su ciò che ci circonda.

Riflettendo sulla propria vita mentale e sul proprio comportamento, è possibile trovare quotidiani esempi di distrazioni e perdite di tempo dovuti alle suddette cause. Ora indipendentemente se si pensa che i mass-media ci abbiano condizionato, o che una civiltà in cerca di continui stimoli abbia prodotto media a basso impatto attentivo, ciò che resta da fare è indagare ed eventualmente registrare se gli effetti di tutto ciò si ripercuotono anche nelle nostre relazioni, nel nostro modo di pensare e di stare con gli altri. Il cambio continuo di argomento, la ricerca di sensazionalismo, la distrazione e la difficoltà di ascolto sono sintomi di una pessima attenzione.
Si dovrebbe in tal caso, con uno sforzo cosciente, intervenire sul processo di attenzione, nelle azioni di tutti i giorni. Limitare gli automatismi, tutte quelle azioni lasciate al subconscio, acquisendo consapevolezza di ciò che si sta facendo.

La filosofia indiana ha spesso descritto la mente come una successione lineare di pensieri, in cui siamo costantemente assorbiti. Il consiglio che tali sistemi filosofici danno è di osservare con distacco il flusso dei pensieri, senza farsi coinvolgere. Una volta dissociati dal meccanismo pensante (che come si può esperire va in automatico) è possibile agire sul ritmo di questo flusso e portare sempre più calma nei nostri processi mentali. E questo è probabilmente il primo passo da fare per lavorare sull’attenzione in quanto una situazione di rilassamento, può portare a concentrare le proprie energie sulla sfera mentale.

Una mente priva di attenzione è una mente che vive molto più freneticamente l’avvicendarsi dei pensieri; li subisce. Con la giusta abitudine al distacco dal flusso dei pensieri è possibile conservare quell’energia di fondo che ci permette di focalizzare, di concentrarci, di avere attenzione.

Vi sono innumerevoli pratiche che sviluppano la concentrazione, molte delle quali utilizzano il principio della fissazione ovvero il fissare l’attenzione su un oggetto guardandolo, ascoltandolo o semplicemente rivolgendo il pensiero a qualcosa cercando di non distogliersi.

Queste metodologie come il tratak ovvero l’osservazione di una fiamma o il pranayama, ossia il controllo e la concentrazione sul respiro sono validi strumenti per migliorare la propria attenzione.

Vi deve essere poi l’estensione di quello stato durante la quotidianità. A tal proposito Atkinson*** consiglia di esercitarci con l’ascolto. In una conversazione il dialogo non deve divenire un sovrapporre i propri pensieri a ciò che dice l’altra persona, ma deve avvenire un vuoto, si deve creare la giusta ricettività e attenzione. Inoltre pianificare il proprio lavoro e i propri compiti e portarli a termine nei termini previsti può risultare il giusto training per questo tipo di sviluppo. Un ulteriore consiglio, che può risultare oltremodo terapeutico, è quello di dedicarsi a lavori manuali, in modo tale da sperimentare il distacco dai processi mentali astratti e la concretizzazione, che molto spesso avviene (come nei lavori artistici) come un processo di discesa dal pensiero alla materia, passando per il nostro agire.

note:

*G. Sartori, Homo videns, pag 13

**Alcuni dati e la fenomenologia della sindrome da disturbo dell’attenzione: http://www.psicoterapiatrainingschool.it/staff/articoli/ADHD_Bambini-e-ragazzi-problemi-attenzione-iperattivit%C3%A0.pdf

Tale ricerca seppur molto interessante fa solo un accenno alle possibili cause ambientali, quelle della responsabilità dei mass-media. La mia analisi, invece si avvale di tale aspetto, 1) perchè considera il prodotto culturale come estensione delle capacità cognitive (vedi de Kerckhove) e 2) perchè inquadra il problema nella teoria della società di dispersione http://pensieroperante.altervista.org/la-societa-della-dispersione/

***W. W. Atkinson, L’educazione del pensiero