la schiavitù in scala di grigio

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di Francesco Citino

Sinceramente non so se quello che gira in televisione è cambiato perché sono cambiate le condizioni esterne, o solo perché i vecchi miti che ci aveva propinato fino a ieri non rientrano più nei gusti di chi guarda.

Mi spiego meglio è come se un tempo la televisione doveva comunicare l’immagine del benessere: protagonisti e personaggi belli e di successo, avevano il ruolo o di consolidare le motivazioni dell’individuo, il quale finiva per identificarsi con l’aspirazione collettiva di questa società.

Ma non solo, se si pensa alla casalinga che evadeva dall’ordinarietà della routine attraverso le telenovelas. Queste ambientate in metropoli americane e in situazioni socioeconomiche ben diverse dalla quotidianità del telespettatore medio avevano il ruolo di portare ad una accettazione della propria condizione, in quanto l’aspirazione era trasformata in fantasticheria, quindi svilita.

Nonostante la televisione, dal mio punto di vista, è sempre stata legata al sistema e alla gestione del suo status quo, ora sembra che le cose siano per di più peggiorate. Non che i miti di prima erano salutari, ma quantomeno la condizione descritta oggi è ben più grigia di quella di ieri.

Voglio portare due esempi in particolare, il primo è la pubblicità dell’ENEL, “Guerrieri” e l’altra è una serie, molto breve in onda su Rai2, chiamata “Una mamma imperfetta”.

Non voglio fare una descrizione precisa dei due contenuti, ma elencare delle suggestioni che da queste ho avuto.

Nella pubblicità “guerrieri” vi è una scarrellata di scene che inquadrano la quotidianità di molti. Vi è una ragazza in metropolitana, che viaggia in piedi, un insegnante, uno studente, un lavoratore….

tutte queste figure sono considerate dalla pubblicità dei guerrieri, che affrontano vari tipi di difficoltà e disagi, pur di portare a termine il proprio compito, la propria funzione.

Ma la figura del guerriero non è trattata con lirismo, non si evince una risoluzione delle sue battaglie, ma solo un accettazione atlantidea del carico e dello squallore che il ruolo gli ha assegnato.

Invece del cambiamento c’è piuttosto una successione in cui il grigiore si trasmette da una situazione all’altra per cui dai banchi di scuola, al pendolarismo universitario, fino a quello lavorativo e al pensionamento si incontrano le stesse difficoltà, gli stessi toni cupi….il guerriero propinato non è una figura forte, in grado di spezzare le catene, di rifiutare tale condizione, ma è una figura un minimo alimentata (nel fisico e nella motivazione), quel tanto che basta per continuare la sua funzione, o ancora peggio per aspirare ad averne una. Più che la figura del guerriero è evocata quella dello schiavo che costruisce le piramidi.

Per quanto riguarda la serie “Una mamma imperfetta”, sembra un diario-confessione di una donna che vive tutte le problematiche relative alla famiglia, alla casa, il lavoro, la relazione con il marito. È l’elogio alla mediocrità! ad essere narrati sono accadimenti problematici, su cui di solito si chiacchiera e si ride su; sono i classici accadimenti che spingono all’autocelebrazione e al vittimismo: al dire “vedi cosa devo sopportare ogni giorno!” che in realtà sta per “vedi cosa sono in grado di sopportare io”. la relazione fra moglie e marito ad esempio è descritta come una squallida routine in cui non vi è crescita di coppia ma il cui unico spiraglio è l’accettazione.

Infine la figura della donna è svilita e appiattita dai vari ruoli, di mamma, di lavoratrice…. e non dimostra di avere tempo per se, di non avere una esistenza per se, per la propria evoluzione, ma dimostra invece di essere talmente assorbita da non rendersene più conto. in qualche modo il suo disagio è attenuato dal vittimismo (che ci tengo a dire non è uno sfogo, ma è una dispersione di energia che inficia il cambiamento) con cui si consola nel suo racconto.

Concludendo ho associato i due contenuti in quanto presentano uno schema simile:

1) identificazione con la mediocrità: apparentemente sembra che la nascita di contenuti simili siano per rispecchiare quanto più possibile la realtà, ma io credo che questa sia molto più plastica di come si crede. la nostra realtà cambia con la percezione che abbiamo di essa, e  che abbiamo il potere di fare la nostra realtà.

Quindi tale identificazione è una forzatura, è un voler descrivere la mediocrità. I perché di questa scelta, che in qualche modo compete tutta la nostra attuale cultura, sono molti, ne cito uno in particolare, il più ovvio: ad una maggiore generalizzazione corrisponde un maggiore pubblico. Quindi si va nel mediocre e nello squallido, perché è nel nostro aspetto animale che siamo più simili (più prigionieri)….l’individualità emerge più nei nostri aspetti mentali e “sopra-mentali”. detto in parole povere tutti defechiamo, ma non per questo le deiezioni rappresentano il genere umano.

2) In entrambi i contenuti non vi è il concetto di risoluzione, di superamento delle problematiche, della condizione presente, ma solo una accettazione di questa. Si accetta il ruolo solo perchè ci si identifica con esso: la mamma, l’impiegato, lo studente, il pensionato, ecc..

3) vi è una implicita definizione del ruolo. E qui vi è l’esplicito gioco del potere, un buon lavoratore è quello che nonostante tutto invece di ribellarsi o di riflettere sulla propria condizione, la accetta di buon grado, è pronto per difenderla….l’uomo che il sistema vuole finisce per amare la gabbia dove è rinchiuso